I recenti dibattiti sui diritti all’aborto mi ha portato a riflettere su come, se non del tutto, l’aborto sia presente nella narrazione mediatica contemporanea. Nel contesto del nostro progetto sulla adolescenza nel cinema e nella televisione italiana, il pubblico degli adolescenti incontra raramente storie che includono l’aborto.
Le poche allusioni che si verificano parlano di particolarità ben note della società italiana, ad esempio il predominio della prospettiva maschile, il “motivo dell’incesto” e una preoccupazione per la fantasia delle famiglie eteronormative, anche giovani, di fronte alla bassa natalità. Eppure il fascino di massa delle storie per adolescenti sullo schermo offre loro un potente potenziale per aprire il dibattito sul limitato accesso all’aborto che gli italiani devono affrontare.
Gli italiani usano la stessa parola aborto sia per indicare l’ aborto che l’ aborto spontaneo. La distinzione di significato può essere resa con l’aggiunta di un aggettivo: “volontario” o “spontaneo”. Nella confusione linguistica in italiano che spesso si crea per il mancato uso dell’aggettivo, al contrario dell’inglese, la natura involontaria dell’aborto spontaneo offusca la possibilità di una decisione attiva di non continuare con una gravidanza. Di conseguenza, accade parallelamente alla realtà, che la tendenza nella narrativa cinematografica di fantasia italiana ricorre al “comodo” aborto spontaneo, che impedisce alla protagonista di incorrere nello stigma dell’aborto volontario, permettendole di continuare la sua traiettoria pianificata.[2]
In particolare ho pensato a come questa logica linguistica si estenda alla ricezione del teen movie Succede (Mazzoleni, 2018), una commedia romantica ambientata a Milano, basata sul romanzo bestseller dell’allora influencer diciottenne Sofia Viscardi (Mondadori, 2016). Alla fine scopriamo che il dolore segreto nutrito dalla protagonista sedicenne, Meg, risale a una precedente relazione infelice che l’ha lasciata incinta. La sua perdita involontaria del bambino a causa di un aborto spontaneo si rivela piuttosto conveniente per la trama del film. Eppure un telespettatore adolescente ha recentemente commentato quanto sia stato bello sentire parlare di un argomento “discusso così raramente”: l’aborto. Tornando al film, Meg ha scoperto di essere incinta solo quando ha provato il dolore di un aborto spontaneo poche settimane dopo la sua prima e unica esperienza sessuale. Il modo in cui il nostro studente intervistato ha celebrato la menzione della parola “aborto” sottolinea quanto poco i giovani possano vedere e sentire parlare di aborto spontaneo o di aborto volontario nel cinema e nella televisione italiana, per non parlare dei media internazionali.
Non sono la prima a sostenere che la narrazione mediatica non è riuscita da tempo a tessere in modo sicuro il tema dell’ aborto nel tessuto narrativo della vita quotidiana a cui appartiene. Eppure le cose stanno cambiando, ad esempio Giulia Siviero mostra come la televisione americana abbia finalmente iniziato a rappresentare l’aborto come una procedura sdrammatizzata in serie televisive come Grey’s Anatomy (2005) e Scandal (2012). Più recentemente, possiamo anche citare un esempio della televisione per adolescenti: Sex Education (2019-) che presenta una protagonista femminile che abortisce. Riferimenti più frequenti alla presenza quotidiana dell’ esperienza dell’ aborto sono penetrati anche in serie italiane come La mafia uccide solo d’estate (Wildside/Rai fiction, 2016), Chiamami ancora amore (Rai streaming , 2021) e Guida astrologica per i cuori infranti (Netflix, 2021-).[3] Nel cinema, come sostiene la critica Maria Sanfilippo, gli esempi sono ancora limitati ai film indipendenti, come Obvious Child (Robespierre, 2014) o Never Rarely Sometimes Always (Hittman, 2020) e riserva un particolare disgusto per l’esempio popolare di Giunone (Reitman, 2007), che mette nuovamente in scena la banale fuga dalla clinica per aborti verso la gravidanza da portare a termine.
Giunone ci riporta al film per ragazzi Succede e alla mia domanda di apertura: che ne è del cinema e della televisione per adolescenti in Italia? La gravidanza adolescenziale è protagonista di film come Prova a volare (Cicconi Massi, 2007), Notte prima degli esami (Brizzi, 2006) e Scusa ma ti voglio sposare (Moccia , 2010) e più recentemente, sulla scia della crescente visibilità del corpo delle adolescenti incinte nei film statunitensi, anche i film per adolescenti italiani hanno iniziato a includere nel suo repertorio le “momcom”, come Slam tutto per una ragazza (Molaioli, 2016) e Piuma (Feather, Johnson, 2016). Sebbene tutti questi film presentino giovani coppie in attesa di un figlio in una fase di transizione della vita, l’aborto ha sempre poca visibilità. I film si concentrano invece sull’elaborazione della notizia di aver messo incinta la partner da parte del personaggio maschile e viene interpretata come occasione per mettersi alla prova verso una crescita necessaria. La ragazza, in un cambiamento nella sua rappresentazione nella cultura popolare come “can-do” (si può fare) (Projansky, 2014), tende a essere codificata come più calma e naturalmente desiderosa di maternità. Il senso del ‘panico del tempo’, che Diane Negra ha attribuito al rapporto delle donne con il proprio orologio biologico nella cultura postfemminista, è invece appropriato dal protagonista maschile, per il quale la gravidanza è codificata come una potenziale perdita, in linea con le interpretazioni esistenti della commedia italiana ( O’Rawe, 2014).
In Scusa ma ti voglio sposare, l’eroe della sottotrama di una gravidanza adolescenziale segnala la sua accettazione della notizia con l’acquisto di un orologio a cucù speciale per la sua ragazza e la loro cameretta: un riconoscimento simbolico del suo adattamento a un nuovo arco di tempo (figura 1). O’Rawe sottolinea non solo il predominio della commedia maschile italiana (p. 45), ma anche la frequente cancellazione dal testo delle madri da parte del cinema italiano a favore dei “neopadri” (p. 80). Più recentemente ciò mi ha fatto notare che la televisione per adolescenti perpetua questi tropi, ad esempio basta dare uno sguardo alla prima stagione di Mare fuori (Rai, 2020-), che mostra l’accettazione da parte di un giovane detenuto maschio (17 anni) della gravidanza della sua ragazza come simbolo dell’abbraccio della maturità e dell’essere un uomo. Il film Slam presenta diversi flashforward in cui Samuele, l’eroe, viaggia nel tempo e si ritrova padre molto prima che i nove mesi siano scaduti; vaga per l’esperienza in uno stato comicamente stordito e confuso. Apparendo un intruso nella casa di famiglia della sua partner, i flashforward di Samuele fungono da prove, “addestrando” l’eroe alla paternità e rafforzando ancora l’idea che la genitorialità è naturale per le donne, ma non per gli uomini.
Di fronte alla progressione apparentemente implacabile delle gravidanze delle loro partner, i protagonisti maschili devono cercare altre forme di controllo. Come scrive Tania Modleski, “gli uomini alla fine affrontano il potere femminile incorporandolo”, ed è attraverso l’appropriazione della prospettiva e della voce che ciò avviene.
La lotta del giovane eroe per accettare la paternità è al centro del fumetto anche di Piuma. Ferro ha l’abitudine di registrarsi per poi fornire la voce fuori campo all’interno del mondo del cinema per gli eventi; a un certo punto scrive una lettera al nascituro che stanno per dare in adozione, una lettera così commovente che la coppia decide di tenersi questo bambino perché le sue parole determinano la loro traiettoria narrativa condivisa. La volontà della futura mamma Cate passa in secondo piano. L’insistenza di Cate nel dare effettivamente alla luce il bambino per compensare un precedente aborto, la rende almeno un esempio molto raro di una ragazza nel cinema italiano che ha effettivamente avuto un aborto, un’esperienza implicita infelice che deve riparare, ma il dettaglio viene riassunto all’interno della narrazione principale della gravidanza, la storia di Ferro. Qui, come in Slam, gli adulti sono descritti come pro-aborto, nelle loro aspirazioni spietate per la vita e futura carriera dei loro figli, mentre le generazioni più giovani lottano contro di esso, suggerendo che i sentimenti anti-aborto sono un’espressione di cuori giovani e innocenti. In Slam il padre antipatico dell’eroina si mette subito al telefono con un conoscente che lavora in un ospedale per cercare di organizzare l’aborto, facendo apparire l’aborto una forma di controllo patriarcale e un privilegio della classe media.
Tuttavia, altre tensioni intorno all’aborto circolano in Italia e meritano maggiore attenzione, perché hanno meno a che fare con le lotte per la supremazia di genere e generazionale, e più con gli ostacoli della vita reale. Nel famoso teen drama Notte prima degli esami, la coppia di studenti all’ultimo anno di liceo, Massi e Simona, affrontano la notizia della gravidanza nello studio del loro medico e gli chiedono cosa fare dopo. La risposta è ‘Aspetta nove mesi… Oppure cambia ginecologo’. La scena immediatamente successiva rappresenta Massi che dice ai suoi amici che hanno deciso di tenere il bambino, facendo l’ovvia connessione tra la loro decisione di tenere il bambino e la difficoltà causata da problemi di obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari alla pratica dell’aborto. Tuttavia, alla fine del film i titoli di coda fanno un balzo in avanti nel tempo verso il futuro di Massi e Simona confermando la contestazione di Oliver secondo cui “la futura famiglia evocata dalla gravidanza o la fantasia della famiglia è diventata la vera fantasia romantica in un’era di liberazione sessuale, affari, famiglie monoparentali e divorzio come norma” (Oliver, p 78)
L’esempio più eclatante di questa fantasia familiare è il melodramma adolescenziale, Prova a volare (Cicconi Massi, 2007), che riprende modelli più antichi del cinema italiano, come Sedotta e abbandonata (Germi, 1964) in cui i padri patriarcali tentano di controllare la sessualità delle loro figlie in nome dell’onore della famiglia, mentre le figlie resistono. La giovane figlia incinta, Gloria (Alessandra Mastronardi), fugge dal matrimonio imposto dal padre e cerca di abortire. Il fotografo con cui fugge il giorno delle nozze prende le sue difese, abbastanza raro per l’agency adolescenziale e finisce anche per difendere il suo diritto di scegliere un aborto di fronte al tentativo di suo padre di impedirglielo (vedi clip sottotitolata). Questo fotografo è interpretato dal rubacuori adolescente Riccardo Scamarcio e il suo intervento a favore di Gloria apparteneva a una nuova significativa articolazione di un indirizzo femminile adolescente nel cinema italiano. Come sostiene O’Rawe, il potere di questo segmento di pubblico era stato rapidamente associato al personaggio principale di Scamarcio che tre anni prima era diventato oggetto del desiderio nei panni di Step, nel popolare film per adolescenti basato sul popolarissimo romanzo di Federico Moccia Tre metri sopra il cielo (Lucini, 2004).
Naturalmente, nonostante questo indirizzo di potere e la difesa del libero arbitrio adolescenziale, l’eterno istinto materno ha la meglio e la menzione dell’amore, insieme alla vista degli strumenti dell’abortista clandestino (vedi Figura 2) convincono rapidamente la sposa in fuga a non andare avanti. Che le riprese finali del film mostrino suo padre che porta il nipotino legato al petto sono un esempio non troppo sottile del “motivo dell’incesto” che domina la commedia cinematografica italiana. Tuttavia, la decisione iniziale della ragazza di dirigersi a sud per un aborto clandestino spiega anche l’inaccessibilità dell’aborto in Italia, e il riferimento della megera alla sua esperienza di pratica di aborti “in particolare su giovani donne” fa capire che la pratica di aborto è una norma. Inoltre, insieme all’uso del sud italiano come luogo di antica tradizione, visibile nella discesa dell’eroina in un semplice villaggio di pietra a casa per incontrare l’abortista, ricorda anche allo spettatore che nemmeno l’aborto è un fenomeno nuovo.
Nella maggior parte di questi film, tuttavia, il dibattito sull’aborto viene sommariamente respinto prima che gli adolescenti arrivino alla vera questione: quella di diventare genitori. Tale enfasi assume una particolare inflessione nel contesto italiano in cui le preoccupazioni per la fertilità “naturale” di fronte ai recenti dibattiti sulla fertilità assistita e il tasso di natalità relativamente basso sono fortemente sentite (Falaschini Lerner e D’Amelio, 2017). Secondo l’Istat, tra il 2004 e il 2014 la percentuale di madri che hanno figli tra i 15 ei 24 anni è infatti scesa da un già basso 2,6% all’1,9%, e l’età media alla quale le italiane diventano madri è di 32 anni. Lo stereotipo della madre single incapace, stigmatizzata senza pietà in paesi con maggiore previdenza sociale come il Regno Unito, è del tutto assente dallo scenario italiano. Invece, ciò che provoca il conflitto ideologico in questi film è una tensione tra, da un lato, il desiderio di incoraggiare la riproduzione giovanile e aumentare il tasso di natalità, che ha raggiunto il suo sfortunato culmine nell’impopolare “Giornata della fertilità” del governo del 2016, e, dall’altro, il desiderio di preservare un modello familiare più tradizionale legato alla genitorialità adulta e l’aborto è fuori da tutti questi contesti.
Nonostante l’ampia gamma di temi oscuri trattati nelle recenti popolari serie televisive per adolescenti, dalla delinquenza giovanile in Mare fuori (Rai, 2019-) alla prostituzione minorile in Baby (Netflix, 2018-2020), l’aborto resta nell’ombra. Tale assenza perpetua la mancanza di un dibattito aperto su quale sia il tempo e il corpo realmente in gioco nella continuazione di una gravidanza e non mette in discussione la mancanza di un accesso equo all’aborto che sta diventando una questione sempre più urgente sia in Italia che negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti l’aborto non è più un diritto costituzionale. Dopo il ribaltamento di Roe vs Wade, in metà degli Stati sono previsti divieti all’aborto. Dal punto di vista italiano, parte di questo è orribilmente familiare. In entrambi i paesi la maggioranza delle persone sostiene l’aborto, ma il funzionamento della legge li tradisce. Sebbene la Legge 194, approvata dopo il referendum a favore dell’aborto nel 1978, abbia reso possibile l’aborto in Italia, ha consentito anche l’oblazione di coscienza nella professione medica, il che significa che in molte regioni italiane l’aborto è di fatto inaccessibile. Più recentemente, ad esempio, con le dimissioni dell’ultimo ginecologo a praticare l’aborto, è diventato impossibile per le donne abortire nella cittadina calabrese di Cosenza.[4] Inoltre, l’aborto medico, di gran lunga la procedura più semplice nelle prime settimane di gravidanza, è spesso reso difficile da ottenere. Letizia Magnani suggerisce che attualmente è utilizzato solo nel 20,8% dei casi in Italia, rispetto all’87% nel Regno Unito.[5] Le voci di protesta sono tante: dal magazine Grazia, alla popolare autrice e influencer Michela Murgia, al gruppo Instagram IVGstobenissimo (Aborto: sto bene), le voci femministe italiane sottolineano le diffuse difficoltà di accesso. Tornando ai nostri esempi cinematografici, ci sono accenni di queste restrizioni nella stanza dell’aborto di Prova a volare e nel ginecologo che si rifiuta di contemplare l’aborto in Notte prima degli esami. Le opportunità di narrazione attorno a questo tema spinoso e controverso lasciano le porte aperte alle industrie creative in Italia sono sicura che il pubblico degli adolescenti italiani, affamato di capire cosa significhi l’aborto per la propria vita, apprezzerebbe un’ulteriore elaborazione su questo tema.
Bibliografia
Giovanna Faleschini Lerner and Maria Elena D’Amelio (eds), Italian Motherhood on Screen (Palgrave Macmillan, 2017)
Diane Negra, What a Girl Wants: Fantasizing the reclamation of the self in postfeminism (London: Routledge, 2009)
Kelly Oliver, Knock Me Up, Knock Me Down: Images of Pregnancy in Hollywood Films (New York : Columbia University Press, 2012)
Catherine O’Rawe, Stars and Masculinities in Contemporary Italian Cinema (Basingstoke, Palgrave MacMillan, 2014)
Sarah Projansky, Spectacular Girls: Media Fascination and celebrity culture (New York: New York University Press, 2016)
Maria Sanfilippo, ‘Themed Playlist: Filming Abortion’, 11/11/21, Themed Playlist: Filming Abortion – Centre for Screen Cultures (st-andrews.ac.uk)
Giulia Siviero, ‘Come viene raccontato l’aborto nelle serie tv’, Come viene raccontato l’aborto nelle serie tv – Il Post, accessed 4/7/22
[1] Ringrazio Dominic Barth, Catherine O’Rawe e Dana Renga per i commenti alla prima bozza di questo post.
[2] Convenient Miscarriage – TV Tropes
[3] Giulia Siviero, ‘Come viene raccontato l’aborto nelle serie tv’, Come viene raccontato l’aborto nelle serie tv – Il Post, accessed 4/7/22
[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/07/19/cosenza-si-dimette-lultimo-ginecologo-non-obiettore-di-coscienza-in-citta-abortire-non-e-piu-un-diritto/6666241/#:~:text=Il%20dottore%20Francesco%20Cariati%20non,%C3%A8%20dimesso%20dall’ospedale%20pubblico.
[5] Letizia Magnani, ‘Dove le donne non sono libere da scegliere’, Grazia, 16/12/21 pp. 19-20; Abortion statistics, England and Wales: 2021 – GOV.UK (www.gov.uk).