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Nuove adolescenze al femminile calabresi sullo schermo: “A Chiara” e non solo

By Danielle Hipkins

Le attrici dei film A Chiara, The Good Mothers and Una femmina

Ieri sera, all’età di 17 anni, Swamy Rotolo di Gioia Tauro in Calabria è diventata la più giovane a vincere il prestigioso premio del cinema italiano, il David di Donatello, come migliore attrice protagonista per il suo ruolo in A Chiara (2021) di Jonas Carpignano. Questa vittoria riflette un interesse più ampio e senza precedenti per l’adolescenza nel cinema e nella televisione italiana di cui si occupa il progetto A Girls’ Eye View. In questa luce forse non sorprende che, mentre Jonas Carpignano chiudeva la sua trilogia calabrese, si sia rivolto a raccontare la storia immaginaria della quindicenne Chiara, una figlia proveniente da una famiglia mafiosa immaginaria che fa i conti con la vita criminale segreta di suo padre.

I film sulle ragazze stanno esplodendo in tutto il mondo e molti sostengono che la figura della ragazza in particolare, vista come vulnerabile e malleabile, ma anche sempre più come un luogo di potere femminile, possa diventare l’archetipo ideale attraverso il quale porre domande sul nostro futuro nella società neoliberista.[1] Questa rappresentazione della ragazza potrebbe anche offrire un messaggio di speranza: per esempio Chiara di Carpignano dimostra una resilienza che suggerisce che c’è un futuro oltre la criminalità organizzata. Infatti, il potere con cui questa storia ha attratto alcune delle ragazze di una scuola dove ci occupavamo di consumo dei media in Italia, sottolinea quanto sia importante creare narrazioni che affrontino il ruolo centrale delle donne nella criminalità organizzata, piuttosto che lasciarle ai margini. Detto ciò, tutti siamo abituati alla cultura popolare che promuove una visione degli aspetti della “ragazza che sa fare” – frizzante e potente – e ciò è per esempio visibile nelle scene di apertura di una festa del film A Chiara, ma ciononostante, il film sfida i limiti che la vita reale e la famiglia pongono su quella visione dell’adolescenza al femminile. La vita reale è il forte di Carpignano, ma se in A Ciambra (2018) Carpignano ha potuto far recitare la comunità rom reale, difficilmente questo poteva succedere nel caso della criminalità organizzata. Come lui stesso afferma: “Non è una storia vera…Non è tratta dalla biografia di Swamy, però quella che vedete è la vera famiglia di Swamy. Sono reali i loro rapporti, inseriti in una struttura narrativa di finzione che ho scritto io”.[2]Alcuni critici suggeriscono che il film appaia in parte vago,[3] ma Carpignano lega fantasiosamente alcuni dei temi del raggiungimento della maggiore età: conflitto con i genitori, gruppi di amicizia e rivalità, assunzione di responsabilità per le proprie azioni, a come immagina il mondo nascosto della mafia calabrese, la ‘ndrangheta. Carpignano infatti, come un numero crescente di registi, da Céline Sciamma ad Andrea Arnold, cerca la sua autenticità nel suo impegno per lo sguardo della ragazza adolescente nella figura dell’attrice non professionista, tanto più che l’importanza del non professionista nel cinema italiano è ormai riconosciuto a livello internazionale.[4]

Come afferma la stessa Swamy Rotolo, è lei l’ispirazione per il modo in cui viene raccontata la storia perché è testarda, infatti Carpignano conosce Swamy (nata nel 2004) da quando aveva nove anni e la sua famiglia da molto tempo prima.[5] La figura della ragazza, familiare e vibrante nel contesto affettuoso della sua famiglia, offre una via avvincente verso un mondo sconosciuto (e forse inconoscibile). Il trionfo di Rotolo, tuttavia, suggerisce anche che all’interno delle stesse storie sulla mafia, il pubblico (femminile?) è ormai sempre più diffidente nei confronti degli eroi mafiosi, e persino degli eroi antimafia, bloccati in una battaglia per diverse versioni della supremazia maschile, e forse ha appetito per qualcosa di diverso. Non è un caso infatti che due libri usciti ultimamente offrano materiale storico recente di vita reale per rimediare a ciò e mi riferisco all’avvincente racconto investigativo di Alex Perry The Good Mothers (Londra: William Collins, 2018) che racconta la storia di come i pubblici ministeri, tra cui Alessandra Cerreti, siano stati in grado di persuadere diverse donne sposate con mafiosi a diventare informatori di stato e iniziare a indebolire la presa della ‘ndrangheta e poi a Femmine ribelli di Lirio Abbate (Milano: Mondadori, 2013) che racconta una storia simile in lingua italiana ed è stata anche recentemente trasformata in un film (Una femmina, Costabile, 2021). Quanto scrive Perry sul rapporto tra la ‘ndrangheta e la famiglia, e su come sia stata la chiave dell’interazione di Alessandra con queste donne, è molto utile quando si pensa al film A Chiara e al forte legame espresso tra padre e figlia:

Più leggeva, più Alessandra si rendeva conto che il vero genio della ‘ndrangheta era stato quello di cooptare la famiglia italiana. Più la ‘ndrangheta si rendeva indistinguibile dalla cultura calabrese tradizionale e familiare, più chi pensava di lasciare l’organizzazione doveva considerare che avrebbe abbandonato tutto ciò che sapeva e tutto ciò che era. L’innegabile amore di una madre per un figlio o di una figlia per un padre: c’erano quei tipi di legami che assicuravano che anche il più rispettoso della legge infrangesse la legge. (pagg. 56-7).

Per continuare a parlare qui di questa nuova attenzione su donne e ragazze, racconto di quando siamo stati invitati sul set di The Good Mothers, girato in Calabria per Disney Plus. Entrando nello spirito di territori inesplorati, siamo arrivati ​​nel paese dove lo stavano girando a metà pomeriggio dopo un faticoso viaggio che si snodava lungo il fianco di una montagna su un sentiero agricolo pieno di buche e costeggiato da uliveti e aranceti.  Tra l’altro, poco dopo il nostro arrivo abbiamo scoperto che il viaggio era stato inutilmente faticoso perché c’era un altro percorso di appena 20 minuti diretto da Reggio Calabria (come amiamo rendere glamour una realtà più banale). Mentre eravamo in una piazza, abbiamo intravisto una delle star della serie televisiva di successo internazionale L’amica geniale, Gaia Gerace, con il viso pallido e schiacciato chiaramente stanco mentre andava via dal set. Gli sforzi compiuti per allenare Gerace in dialetto calabrese testimoniano l’ambizione della serie di attingere alla sua autenticità da star come il brillante personaggio napoletano della classe operaia di Lila.[6] Disney Plus sta facendo di tutto per marcare questa serie con il marchio televisivo di qualità, dal momento che l’episodio che abbiamo visto girare era diretto dal regista britannico Julian Jarrold, regista di alcuni episodi di The Crown. Più tardi scopriamo che invece una regista italiana emergente, Elisa Amoruso, nota soprattutto per i lavori incentrati su ragazze e giovani donne come Maledetta Primavera (2020), Chiara Ferragni: Unposted (2019) avrebbe diretto  gli episodi successivi.

Tuttavia, abbiamo notato che i calabresi sono abbastanza perplessi da questa nuova attenzione alla propria regione. Da un lato il parroco del paese che era uscito a chiacchierare con noi nella pittoresca scacchiera della piazza del paese, un tempo teatro di vittime di vere guerre mafiose, ci ha ricordato che era anche il paese natale di un noto cantante calabrese, Mino Reitano, un fatto che appariva molto più interessante per il prete e i miei amici, ma a quanto pare meno vendibile in tv di una storia mafiosa macchiata di sangue. Dopo la chiacchierata col parroco, il villaggio risultava stranamente tranquillo: l’unico movimento per le strade era quello della troupe cinematografica di Roma e le comparse, ragazzi del posto che ronzavano a comando sui loro motorini. Ma succede una cosa mentre guardavamo il set, un’anziana donna del posto si rifiuta di adeguare la sua routine quotidiana al ritmo delle riprese che si svolgono sulla soglia di casa. In questo, l’anziana signora ha anticipato la crescente irritazione dei cittadini di Reggio Calabria nelle settimane successive, quando l’accesso al centro storico della città di Reggio Calabria viene bloccato nell’ora di punta per filmare un inseguimento in auto proprio nel momento in cui tanti genitori cercano di raccogliere i loro bambini a scuola nella loro normale routine quotidiana cittadina.

Le tensioni tra la ricreazione immaginaria della vita reale che è una ripresa di un film e la vita di tutti i giorni sono ben documentate. Tuttavia, mi trovo molto curiosa di sapere cos’altro potrebbe portare questa nuova attenzione alla Calabria, oltre agli ingorghi e alle signore anziane scontrose. La sintesi della consapevolezza femminista, in particolare la lente dell’adolescenza al femminile, e la lente più comune della tradizione mafiosa potrebbe stimolare potentemente l’immaginazione. Il silenzio e il silenzio delle donne sono reali, così come sono reali anche le loro recenti ma potentissime violazioni. Il modo in cui questi cambiamenti sono ora mediati, portati fuori dal silenzio e nella cultura popolare, è assolutamente cruciale se il rapporto tra mafia, genere e omertà che ne è al centro sta cambiando.

Sarà interessante confrontare A Chiara con The Good Mothers. La mia impressione è che anche quest’ultimo sarà raccontato in gran parte dal punto di vista di una ragazza. Se Gaia Gerace interpreterà Denise Cosco, la figlia di Lea Garofalo, la cui coraggiosa resistenza contro la ‘Ndrangheta sotto forma di marito le è costata la vita, e alla fine l’ha trasformata in un simbolo del movimento antimafia, nella serie sarà lei, sua figlia, che vedrà, ascolterà e parlerà per conto della madre.[7] Come ha osservato Anita Harris nel 2004, simbolicamente e immaginativamente, le ragazze sono abituate a parlare al e per il futuro. È significativo, poi, che A Chiara, che forse punta al futuro attraverso la figura della ragazza diciottenne che apre e chiude il film, sia quella che chiude la trilogia di Carpignano. Il suo finale è brillantemente ambiguo. Il film suggerisce se potremmo mai essere in grado di superare gli orizzonti claustrofobici delle nostre origini? La scelta di rappresentare la ragazza come un autentico corpo calabrese è profondamente intrisa di idee sul futuro, sulla capacità di parlare apertamente che associamo ai (o proiettiamo sui) giovani e sulla difficoltà di rompere i legami con un concetto dannoso di famiglia.


[1] Handyside F, Taylor-Jones K (eds), International Cinema and the Girl (New York, Palgrave Macmillan, 2016)

[2] La calabrese Swamy Rotolo vince il David di Donatello (zoom24.it)

[3] A Chiara Review: Jonas Carpignano’s Calabria Trilogy Ends on High Note | IndieWire

[4] O’Rawe, C. G. (2020), ‘The Non-Professional Actor in the Reception of Italian Cinema Abroad’, Cinergie – Il cinema e le altre arti, (18). https://cinergie.unibo.it/article/view/10925

[5] ‘Chiara è praticamente Swamy, perché in fondo io ho il suo stesso carattere. Abbiamo anche troppe cose in comune. Io farei la stessa cosa di Chiara, farei come lei. Al primo ostacolo non mi fermo e continuerei ad andare avanti, ostinatamente. Se voglio veramente scoprire qualcosa non mi ferma niente e continuo a procedere. Infatti credo che Jonas abbia proprio preso un po’ spunto dal mio carattere perché sono abbastanza testarda’. Chi è Swamy Rototolo: tutto sulla giovane attrice italiana | Donne Magazine

[6] Dana Renga, ‘Casting My Brilliant Friend’s Authentic Stardom,’ SERIES: International Journal of TV Serial Narratives 6.1 (2020) 77-90

[7] Gaia Girace da L’Amica Geniale a The Good Mothers su Lea Garofalo (optimagazine.com)

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